Si intitola “Una tigre nel deserto” l’esposizione che Francesco Barbieri ha voluto dedicare a suo padre Raffaele a un anno e mezzo dalla sua scomparsa

Articolo pubblicato su Ravenna Today martedì 11 marzo 2025: https://www.ravennatoday.it/cronaca/mostra-ricordo-padre-5mila-euro-ricerca-cancro.html

Anche nella desolazione si può trovare un motivo per lottare: è questo uno degli insegnamenti che Raffaele Barbieri ha lasciato ai famigliari prima che un tumore al colon lo portasse via nel 2023 a 70 anni. Una lezione che suo figlio, Francesco, ha deciso di simboleggiare con una immagine: quella di una tigre, animale che il padre portava tatuato sulla spalla, nel deserto, un panorama che ricorda lo sconforto che si prova all’indomani di una diagnosi di cancro ma anche un orizzonte che lo stesso Raffaele conosceva bene e amava, avendolo attraversato da giovane insieme agli amici, con zaino in spalla, in sella a una moto sgangherata e con un sacco a pelo nel portapacchi.

Più che un viaggio un’autentica avventura, una delle tante che aveva affrontato sempre con la macchina fotografica al collo, sua grande passione. Tale passione l’aveva portato ad accumulare in vita tantissime immagini suggestive, che tuttavia rimanevano appannaggio di amici e parenti a causa del carattere schivo e di una umiltà che gli impediva di considerare quegli album nulla più del lavoro di un onesto dilettante. L’esibizione di queste foto a un anno e mezzo dalla sua scomparsa, a cura di Francesco Barbieri, in un evento dal titolo appunto di “Una tigre nel deserto” è stata quindi, prim’ancora di un omaggio sentito al suo ricordo, la dimostrazione che il papà sbagliava: nei tre weekend di febbraio in cui sono state esposte presso il Centro Civico “Pellegrini” di Conselice la partecipazione è stata convinta, tanto che le opere vendite hanno superato ogni aspettativa.

La mostra, patrocinata dal Comune di Conselice, è nata anche come una occasione per sostenere la ricerca scientifica contro il cancro, con i contributi ricevuti che venivano dedicati dalla famiglia di Raffaele Barbieri all’Istituto Oncologico Romagnolo affinché gli studi più promettenti portati avanti presso i laboratori dell’Irst “Dino Amadori” Irccs di Meldola possano portare a risultati concreti a beneficio dei pazienti che attendono nuove prospettive di cura. Accanto alla vendita delle fotografie e alla raccolta di donazioni libere in occasione delle giornate di apertura dell’esibizione, è stata creata anche una pagina di crowdfunding su www.insiemeachicura.it, piattaforma che ha fatto da contenitore per chiunque volesse supportate l’iniziativa anche online. Alla fine del progetto, la famiglia di Raffaele Barbieri ha potuto portare in sede allo Ior un assegno da 5.000 euro: per usare le parole dello stesso figlio, Francesco, “l’auspicio è che serviranno a chi vivrà la nostra stessa esperienza a rispondere a qualcuna delle domande che io e mia sorella ci siamo fatti in questo anno e mezzo senza mio padre. Raffaele aveva sempre aderito ai programmi di screening, portava avanti una vita controllata ed era attentissimo alla propria alimentazione: eppure ha ricevuto una diagnosi di tumore al colon che in pochi mesi gli ha tolto ogni energia. Quando succedono cose di questo tipo è normale farsi tante domande: prima fra tutte, perché è successo? Capirlo, grazie alla ricerca, non significa solamente avere la soddisfazione di una risposta, ma anche fare un passo avanti verso la prevenzione e la cura di queste malattie per tutti quelli che restano”.

Ma “Una tigre nel deserto” non è stato solo un successo, per certi versi inaspettato, di raccolta fondi a favore di una buona causa: “La mostra ha avuto tanti effetti collaterali positivi – spiega sempre Francesco – di fronte al percorso che avevamo costruito ho visto tanti figli chiedersi cosa stiano facendo per far conoscere ai genitori quanto siano orgogliosi di loro, così come tanti genitori domandarsi se l’impronta che lasceranno nei figli quando non ci saranno più sarà altrettanto forte come quella che ha lasciato in me Raffaele. È una grande soddisfazione, per me, pensare che le foto di mio padre siano oggi appese nella stanza di qualcuno che abita anche a centinaia di chilometri di distanza, che magari non lo conosceva ma che ora ne racconterà la storia a sua volta. Per la mia famiglia è stata anche un’occasione per riallacciare rapporti con amici che non vedevamo da tantissimo tempo, oppure tornare a sorridere e a condividere attimi di felicità insieme a persone che avevamo visto per l’ultima volta in occasione dei funerali di mio padre. In generale, tutta questa partecipazione e generosità rappresenta l’ennesimo attestato di ciò che ha lasciato, di ciò che era, e di ciò che ancora è Raffaele per tanti di noi”.

“Le parole, di fronte a iniziative come quella di Francesco e della loro famiglia, sono quasi superflue – ha commentato Fabrizio Miserocchi, direttore generale Ior – sarebbe probabilmente più sensato lasciar parlare le suggestive immagini della mostra, raccontate dai bellissimi commenti a margine di suo figlio. Spero vivamente si possa replicare l’esibizione perché ciò che ha donato, non solo in termini di raccolta ma soprattutto di emozioni, in coloro che l’hanno visitata, è impagabile. Questa iniziativa racconta una volta di più che anche da un momento drammatico, come la perdita di un padre o di un marito, possa nascere qualcosa di prezioso: soprattutto se quella persona, in vita, ha lasciato ricordi importanti e indelebili in coloro che sono rimasti. Per Raffaele, a causa della particolare malattia che l’ha colpito, non è stato possibile seguire la strada della prevenzione e della diagnosi precoce: tuttavia rimangono le due armi più efficaci che abbiamo nella lotta contro il cancro, specialmente se supportate dalla ricerca. I passi avanti fatti negli ultimi decenni nella conoscenza dei meccanismi con cui le cellule tumorali eludono le nostre difese immunitarie e si moltiplicano ha portato a sviluppare nuove strategie per riconoscere precocemente la presenza di una neoplasia o a nuovi farmaci che hanno restituito mesi e anni di vita a pazienti che un tempo non avrebbero avuto alcuna prospettiva: ma purtroppo le cose che non sappiamo sono ancora tante. Per questo dobbiamo continuare a studiare approfonditamente il cancro e per questo, ogni gesto che sostenga questo impegno, è da considerarsi prezioso”.