L’avventura di un conselicese che l’anno scorso ha preso parte alla Parigi-Dakar percorrendo circa 7000 Chilometri di deserto
Articolo di Andrea Chiarini per Bassa Romagna del 4 febbraio 1987
Nove anni fa nasceva una corsa che aveva come particolarità l’attraversamento del deserto del Sahara: la Parigi – Dakar, 12.000 chilometri da compiersi in circa due settimane con qualsiasi mezzo, auto, moto, camion. Si parte da Versailles, si attraversa tutta d’un fiato la Francia, si traghetta impazienti il Mediterraneo e poi tanta Africa. La Tunisia, l’Algeria, il Niger, la Mauritania, il Mali, il Senegal. Una corsa coi suoi vincitori ed anche le sue vittime. Considerata avventurosa, folle, un semplice «affare» per gli organizzatori, la Paris – Dakar fa sempre discutere ad ogni occasione. Ne parliamo con Raffaele Barbieri che l’anno scorso l’ha vissuta direttamente.
Per il trentenne conselicese Raffaele Barbieri, perito agrario, il dover limitarsi ad assistere da semplice spettatore alla Parigi – Dakar ’87 sarà stato di certo una tortura. Solo un anno fa in fatti è stato anche lui con altri quattro suoi amici un protagonista di questa singolare corsa attraverso il deserto del Sahara.
«Per la verità – incomincia a raccontare Barbieri – il mio gruppo ed io (tre moto più una sgangherata Renault 4 come vettura d’appoggio) abbiamo deciso di non partecipare alle classifiche. Questo per limitare le spese, poiché alla Parigi – Dakar si paga tutto: iscrizioni, soccorsi, benzina e il mangiare. Così abbiamo aspettato la carovana dei concorrenti ad Algeri e l’abbiamo seguita per 4000 chilometri fino al Niger. Arrivati a questo punto, come era nei nostri programmi iniziali, abbiamo fatto rotta verso Tunisi (altri 3000 chilometri) da dove ci siamo imbarcati per ritornare a casa. Costo del viaggio: due milioni e mezzo di lire a testa, mezzi esclusi».
Nata all’insegna dell’avventura la Parigi – Dakar è diventata col passare degli anni un grosso affare per le case costruttrici di auto e moto, perdendo gran parte del suo fascino. A fianco dei piloti privati che dormono per terra con un sacco a pelo ci sono i piloti ufficiali che alla sera se ne vanno in albergo, almeno finché di alberghi se ne trovano: e questo è solo uno dei tanti aspetti che differenziano un pilota ufficiale da uno privato.
«Effettivamente – conferma Barbieri – in questa corsa ormai non c’è più posto per i ‘privati’ veri e propri, sia per i ritmi troppo estenuanti che per i costi decisamente alti, così a Dakar arrivano soltanto i piloti ufficiali o particolarmente assistiti. Obbiettivamente predomina l’aspetto commerciale: la Peugeot, per esempio, quest’anno ha investito una decina di miliardi per vincere e alla fine c’è riuscita».
Polemiche a parte la Parigi – Dakar rimane per tutti una «scommessa» piena di insidie: «Innanzi tutto – chiarisce Barbieri – non è completamente vero l’Africa a dicembre e a gennaio sia calda. Finché non si arriva in Costa d’Avorio di giorno ci sono di media 23 o 24 gradi, mentre la notte il termometro scende fino a 7 o 8 gradi sotto zero. Il percorso poi è pieno di imprevisti; si corre su tutti i tupi di piste immaginabili: sabbia, sabbia molle, pietraie… Capita di trovarsi in piane lunghe decine e decine di chilometri in cui si può correre fino ai 130 all’ora, poi all’improvviso ci si trova davanti una buca profonda tre metri e ci si finisce dentro. In questi casi soprattutto in moto conta molto anche la fortuna. Il road-book, il libretto che contiene le informazioni sul percorso e che tutti i piloti hanno con loro, non sempre è preciso poiché spesso le piste cambiano in funzione del vento. Nel deserto vi è anche la questione dell’orientamento che diventa problematico quando si viaggia ad alta velocità. Le piste – continua nel racconto Barbieri – sono segnalate con pali, pietre e bidoni che non sempre si riescono a vedere, così diventa fondamentale l’uso della bussola altrimenti c’è il rischio di perdersi».
I veterani di questa gara come Auriol o il nostro Picco sono in questi casi avvantaggiati perché ormai conoscono meglio di altri le zone in cui si svolge la gara. Addirittura ci sono piloti ufficiali che durante l’anno effettuano delle vere e proprie ricognizioni nel deserto studiando i percorso meno ostici e più veloci.
Barbieri ha anche conosciuto Thierry Sabine il creatore ed organizzatore della Parigi – Dakar che proprio l’anno scorso mentre era al seguito della «sua» gara è morto con tre amici precipitando con l’elicottero durante una tempesta di sabbia. «Sabine – ricorda Barbieri – era un uomo con un carisma notevole, chiaramente il suo scopo era quello di guadagnare ma era l’unico che alla sera, quando spiegava il percorso del giorno successivo, riuscisse a tirare su il morale a noi piloti. Con la sua scomparsa la Parigi – Dakar ha certamente perso molto».
Corsa a parte, Barbieri dell’Africa conserva molti ricordi simpatici: «Una volta – ricorda – ci siamo persi e siamo arrivati in una zona militare. Qui ci hanno fermato, ritirato i passaporti e detto che saremmo stati trattenuti per un paio di giorni; bene, alla sera eravamo tutti attorno ad un fuoco mangiando e parlando insieme. Gli africani sono fatti così: hanno quel paio di minuti di diffidenza poi diventano gentili e cordiali.
Altrimenti trovi un paio di ragazzi in un bar o ad una pompa di benzina a trecento chilometri dal villaggio più vicino che rimangono per mesi interi isolati aspettando qualche jeep di passaggio e i rifornimenti, quando arrivano. Abbiamo incontrato anche dei camionisti che per lavoro percorrono le piste del deserto trasportando di tutti, fanno viaggi che durano mesi, anche loro in perfetta solitudine. La vita laggiù ha ritmi totalmente diversi dalla nostra. Altro che frenesia!».
Questo intraprendente conselicese non si sente comunque appagato da questa sua esperienza; l’Africa ormai gli è entrata nel sangue e ci ha confidato che per il prossimo ottobre ci ritornerà, magari al seguito del Rally dei Faraoni in Egitto. Prima però, oltre che a lavorare, sta organizzando insieme alla Cagiva un viaggio in America che dovrebbe effettuare in aprile. Non ci resta che un ultimo augurio: buona avventura, Raffaele.