Chiunque abbia conosciuto bene Lele, ricordandolo ha certamente in testa due sorrisi. Il primo era quello che aveva stampato sul viso quando arrivava, sempre che non l’avessi fatto incazzare, mentre il secondo era quello che riusciva a strapparti in ogni situazione.

C’era sempre un motivo per sorridere, una battuta pronta da dire, perché l’importante era non prendersi mai troppo sul serio. E per me, che ho sempre avuto il muso da quando sono nato, è sempre stata la mia salvezza. Non ha mai permesso che fossi infelice, neanche solo per un istante. Nelle nostre giornate, io facevo il pippio e lui provava a farmi sorridere. Nei nostri viaggi, noi lo seguivamo e ci trovavamo nelle situazioni più surreali. Nella mia vita, io non sarò mai felice a pieno senza pensare anche solo per un attimo a lui.

Non dimenticherò mai quando mio padre mi ha detto della malattia, perché l’ha fatto con il sorriso stampato sul volto. Ho pianto, anche se non ha mai chiamato quel male con il suo vero nome, il tumore. Quella delicatezza, per quanto mi abbia spiazzato, l’ho paragonata alla stessa che aveva quando provava a farmi sorridere da bambino. Una gentilezza disarmante, inaspettata, che tirava fuori sempre al momento giusto. Non credo ci sia niente di più potente di dire qualcosa di brutto con il sorriso, un gesto più forte per dimostrare al male che sarà sempre il bene a vincere.

Per tanto tempo ho combattuto con il dolore che l’immagine di mio padre su un letto di ospedale ha lasciato dentro di me. Quell’immagine aveva sostituito del tutto qualsiasi ricordo felice di lui, della mia infanzia, del mio tempo insieme a lui. Quello che dovevo fare non era respingere quel dolore, ma attraversarlo con ogni mia cellula del mio corpo. Grazie alle sue foto, ai suoi ricordi, ho ritrovato il Lele che conosco, quello che scherza, quello che non si prende mai troppo sul serio. Ancora una volta, papà, sei riuscito a strapparmi un sorriso.

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